Intervista a Massimo Mercati, AD Aboca

È possibile una comunicazione d’impresa meno ego-sistemica e più eco-sistemica?

Me lo sono chiesta nel mio progetto di ricerca concepito all’interno della Cattedra Transdisciplinare UNESCO di Firenze. Una delle risposte che ho ipotizzato: sì, se si parte dalla consapevolezza di chi guida l’azienda. Livelli più alti di creatività, managerialità e condivisione, che spesso sfuggono per mancanza di attenzione, si possono raggiungere a partire dalla consapevolezza di chi siamo, anche al di là del ruolo professionale.

In questo incontro “ho fatto da specchio” a Massimo Mercati, AD di Aboca Group; ovvero, l’ho ascoltato attentamente. Aboca è Società Benefit leader in Europa nella ricerca scientifica e nella produzione di dispositivi terapeutici a base di complessi molecolari vegetali; una realtà innovativa, in continua evoluzione da 40 anni.

Mercati mi accoglie nella sede A.Fa.M di Firenze. Un caffè e una lunghissima chiacchierata in cui abbiamo preso appunti insieme.

Partiamo da Massimo. Qual è il suo posto nel mondo?

Una bella domanda. La risposta credo che sia quella di partecipare alla collettività – e già non è scontato, perché si può anche scegliere di non farlo – sentendo in qualche maniera la transitorietà della presenza a fronte di un Tutto/un Assoluto, del quale siamo parte per sempre. Anche questo non è scontato: questo sentire mi dà una certa tranquillità e sicurezza verso me stesso, che mi spinge poi a partecipare alla comunità in cui mi trovo, cercando di apportare un contributo. Questo è il senso di quello che faccio, che mi spinge ad andare avanti, a dare un contributo per il pensiero che possa portare ad indagare proprio quell’esigenza di fondo di sapere chi siamo e perché siamo qui. Tante persone la mettono da parte, questa domanda, non se lo chiedono più, ma io invece sento la necessità di porla. Altrimenti che vita è?

 

Nell’impresa come sistema vivente, la comunicazione è ascolto, relazione e trasformazione. In questo quadro, l’ascolto è una skill fondamentale. Che ne pensa?

L’ascolto è un punto determinante sul quale non è semplicissimo lavorare. Su questo tema cerco di sviluppare, nell’ottica della responsabilità del manager, un concetto che ho trovato abbastanza importante nel libro “Disobbedire” di Frédéric Gros: qui si parla, in merito alle virtù di un leader al comando, di “sollecitudine”, ovvero della capacità di farsi carico che l’altro ci possa comprendere. C’è una responsabilità nel farsi comprendere che presuppone l’ascolto di base, una capacità di percepire segnali che arrivano da vari livelli. Si tratta veramente di una tematica fondamentale. Questo percorso di sollecitudine, che poi esprime un concetto di “servizio” di chi è al comando verso la comunità nella quale si trova, presuppone la capacità di sentire l’altro; la capacità di comprendere che l’altro, quando ascolta, spesso capisce qualcosa di diverso da ciò che intendiamo. E quindi su questa base, creare una relazione presuppone la necessità di stare attenti a quello che l’altro capisce. Credo che un “ascolto empatico” si riferisca alla capacità di ascoltare nel contesto e presupponga un’attenzione non banale. Molto spesso, più si salgono le scale gerarchiche e meno i manager sperimentano questa condizione. Il tema dell’ascolto è invece centrale a tutti i livelli e presuppone moltissimo lavoro da fare. Non è semplice formare questa facoltà, perché è anche basata su un’attitudine personale.

 

Guidare un’impresa comporta responsabilità. Per costruire una connessione solida con clienti e dipendenti diventa importante trasferire la propria filosofia e visione del mondo, sia dentro che fuori le mura dell’azienda. Come nasce la vostra Vision?


Nasce da un lavoro che ha radici molto lontane. Già 20 anni fa mi confrontavo su quale fosse la vision coi manager del tempo, essendo essa costruita attraverso processi interni. In seguito ho cercato di forgiare e far emergere un “qualcosa” che c’era e di razionalizzarlo, grazie anche ad una serie di elementi intellettuali che nel tempo si sono stratificati, dalla filosofia di F.Capra, al pensiero orientale, a quello di E. Morin. La vision di Aboca però non è mai stata scritta o formalizzata. Per questa scelta è stata importante la lettura di “Built to last” di Collins, un libro straordinario nel quale viene teorizzato il concetto che la vision non può essere scritta: non è un fatto da “dire”, ma un processo che porta a “sentire” un senso in azienda, a costruirlo nel tempo con un confine di significato che deve rimanere ampio, incompiuto, non finito, per poter progredire. Fintanto che qualcosa non è compiuto, è in evoluzione costante. La vision diventa perciò elemento di senso per ciò che facciamo ogni giorno e ci porta ad un concetto di applicazione quotidiana di valori che sentiamo anche come valori personali, quali ad esempio impegno, rispetto, responsabilità, coerenza, umiltà. Diventa un elemento di presa individuale sulla realtà, e quindi un modo di essere.

 

Senso di appartenenza al corpo sociale d’impresa e dialogo possono diventare la base della comunicazione interna per il benessere aziendale e di quella esterna a sostegno del brand purpose e dell’azione sostenibile? Come si muove Aboca in tal senso?


Il desiderio autentico di condivisione è la motivazione che spinge l’agire imprenditoriale a procedere dall’interno all’esterno, misurandosi con gli altri. È un vero e proprio atto di apertura e di volontà di realizzazione di progetti, anche per vedere se funzionano, come ad esempio è accaduto con il mio libro “L’impresa come sistema vivente”. Ero molto incerto se pubblicarlo o meno perché si trattava di materiale inizialmente destinato alla formazione interna, che nasceva dall’esigenza di condividere determinati presupposti innovativi di management, come la visione sistemica, coi vari quadri aziendali. Ho scelto di pubblicarlo per condividere una serie di concetti che possano fungere da base di discussione e alimentare un dibattito che non vada più a lavorare solo sulla sostenibilità come elemento di misurazione e compensazione, ma che cerchi di retroagire sulle forme di pensiero, andando a creare i presupposti per un cambiamento strutturale. È estremamente ambizioso, me ne rendo conto, però altrettanto necessario.

 

Ci salutiamo, salgo in macchina con un profondo senso di gratitudine. Seguo con ammirazione quest’azienda da anni. Ho sempre compreso la sua ambizione di voler incidere nella società a livello sistemico, partendo dalla “retroazione sulle forme di pensiero”.
Se cambiamo la nostra mente, cambia tutto.

 

ALESSANDRA PISTILLO – CONSULENTE E FORMATRICE PER LA COMUNICAZIONE D’IMPRESA

CHI SONO

Consulente e formatrice per la comunicazione d’impresa, 15 anni di esperienza.

Come formatrice, collaboro con enti di formazione e organizzazioni, costruendo percorsi innovativi focalizzati su comunicazione, branding e soft skills.

Come consulente, sviluppo piani di comunicazione interna ed esterna con la collaborazione dei professionisti della rete Alessandra Pistillo Studio, a supporto dell’immagine dei brand, ma anche della valorizzazione del potenziale delle persone.

CONOSCIAMOCI

 

Mi hanno dato fiducia: