



Penso di andare in camera a prendere uno di quelli che ho in valigia. Decido poi di prenderne due al volo. Uno azzurro e uno giallo. Torno sulla spiaggia. Riesco a darle quello azzurro. E l’altro, quello giallo, mi resta in mano per nemmeno cinque secondi. In fondo alla spiaggia, dietro le capanne, un gruppetto di bimbi gioca a pallone. È questione di un attimo, uno di loro mi vede. Lascia la palla, lascia il gioco. Non dice nulla, corre verso di me. Gli occhi che brillano, vuole il quaderno giallo. Gli altri non stanno certo con le mani in mano, e corrono tutti verso di me. Mi circondano e mi supplicano. Sì: mi supplicano. Vogliono il quaderno giallo. Sono sudati e infarinati di sabbia fine. Ancora affannati per il gioco, per la corsa, per la bramosia di avere quel quaderno. Si danno spallate, si ficcano le dita negli occhi l’uno con l’altro. Io li guardo, non mi sono mai sentita così imbarazzata in vita mia, capisco di averla fatta grossa a portarne… solo uno. E anche se in camera ne ho una valigia piena, mi rendo conto che sono… assolutamente pochi.
Non posso fare altro che trasformare la situazione in un gioco. Un gioco a premi. Parlo con loro in inglese, li calmo.


Inizia la conta. In italiano: “Am-ba-ra-ba-ci-ci-co-cò…” I piccoli trattengono il respiro. Alcuni continuano a spingersi di nascosto, si tirano gomitate stando ben attenti a non farsi scoprire da me. Ce n’è uno, un pochino più tranquillo. Forse stanco, forse solo più timido. Si vede, che non ci spera nemmeno di essere il fortunato. “il- dot-to-re-si-am-ma-lò…” Sulla spiaggia, drappelli di turisti vengono circondati da altri gruppi di autoctoni. Contrattano, comprano quadri, statuine, bracciali in tipico stile africano. Altri invece, bivaccano. “Am-ba-ra-ba-ci-ci-co…”, il bambino timido sgrana gli occhi. “…Cò! You win!”. Metto nelle sue mani il quaderno giallo. Lui lo raccoglie come una reliquia. Si allunga sulla sua faccia un sorriso così largo, così bianco, che ancora adesso se ci penso ho la pelle d’oca. Il suo urlo di trionfo squarcia il cielo: “Yeeeeeeesss!”. Lo vedo sparire sulla spiaggia, correre, alzare il quaderno al cielo come un trofeo. Come un campione di calcio che segna il gol decisivo.
Eppure, in bocca, un po’ di amaro resta. A settembre, qui da noi, la Tv inizia a riempire la testa ai bambini con gli spot di materiale scolastico di ogni marca. I bambini vanno a scuola imbronciati, ricurvi sotto i pesanti zaini ricolmi di roba. C’è chi scrive il suo nome su ogni matita, per non farsela rubare dai compagni. Ingozzati, strafogati di oggetti.
Cosa succederebbe se riuscissimo a mandare in Kenya scatoloni pieni di quaderni e colori per le scuole? In quanti, sorriderebbero e alzerebbero al cielo il proprio quaderno, la propria matita? In quanti, con i colori che noi invieremmo loro, farebbero dei disegni, darebbero forma alla loro fantasia?


Colors for Kenya è un progetto di solidarietà che ha questo obiettivo. Spedire il maggior numero di scatoloni pieni di materiale per la scuola ai bambini di Watamu. La scuola che aiutiamo si chiama Unity Junior School. Il direttore della scuola, nostro corrispondente, si chiama Rondo Kazungu. L’azienda che fornirà il materiale da donare è di Firenze, si chiama Ciemmedi. I bambini da rifornire sono centinaia. Non sappiamo come si chiamano, ma potremmo chiederglielo. Potremmo chiedere loro di scriverlo, il proprio nome, con le penne che inviamo.
Ecco cosa facciamo con Colors for Kenya. Vogliamo creare una rete. Non vogliamo chiamarli “aiuti”. Semplicemente, regali. Vogliamo far loro degli indispensabili regali, per far sì che imparino ad esprimersi e che vivano la scuola senza farsi mancare ciò di cui hanno bisogno per istruirsi.
Chiunque voglia collaborare ed entrare in questa rete è il benvenuto. Faremo degli eventi. Creeremo un modo per far giungere il vostro contributo. Noi ci crediamo.
Non cambieremo il mondo, ma almeno non staremo a guardare.