La mia analisi della campagna “La vie est belle”
Una passione fin da quando ero bambina: le pubblicità dei profumi. Mi ammaliano da sempre, con i loro “deliri sensoriali”; il tripudio dell’emozione e del racconto onirico. Sembrano tutte uguali, ma non lo sono: alcune sono più originali di altre e riescono a catturare particolarmente la mia attenzione.


“La vie est belle” è un profumo squisito. Ce l’ho da poco, ma dentro di me l’ho sempre desiderato. Ora che lo indosso, sento che in questo momento della mia vita è il mio.
Gelsomino, fiori d’arancio, patchouli… essenze dolci e nobili. Incredibile, come mi emoziona la campagna pubblicitaria. Sarà che la protagonista è Julia Roberts, che io adoro (ho visto tutti i suoi film) e che con quel sorriso ti spezza la pancia in due, sarà che l’atmosfera, così ovattata ed elegante, mi trasporta quasi violentemente in un’altra dimensione (ed io amo viaggiare verso dimensioni inesistenti), ma il fatto è che ogni volta che guardo questo spot un “brividino” mi percorre la schiena.
Una donna bellissima, vestita di bianco scintillante, approda ad una festa raffinata. Le persone si intrattengono amabilmente. Tutti vestiti in nero, la guardano: lei si avvia con passo deciso verso il centro del salone. Imbattendosi in un enorme specchio, osserva lo scenario che si sta consumando alle sue spalle. Rimane perplessa, nota una cosa: un particolare, un dettaglio impercettibile del quale nessuno può accorgersi, se non chi trova il coraggio di riflettere guardandosi allo specchio, scrutandosi dentro e osservando il mondo da una prospettiva rovesciata.
Il dettaglio la inorridisce. Si accorge che le persone, tutte così eleganti, giovani, perfette, socialmente impeccabili nell’aspetto e nelle movenze aggraziate, sono prigioniere. Fili leggeri, formati da gocce di diamanti, intrecciano i loro polsi tendendo verso il soffitto, a ridurre tutti quanti in sciocchi burattini. Inconsapevoli o no, qualcuno li manovra dall’alto, legandoli ad una vita dettata da schemi e convenzioni, senza via d’uscita. La perfezione e la bellezza come assi portanti di un grande ed oscuro sistema che manovra le storie della gente, inchiodandola all’esibizionismo, allo sfarzo, ai sorrisi finti, all’ostentazione della socievolezza o della coppia come mera apparenza.
Sono una fan del sublime. Mai sentito parlare dell’estetica del sublime? Potreste incuriosirvi. Si parla del superamento di una concezione oggettiva del Bello inteso anche come perfezione, nell’ottica di un concetto ben più alto della perfezione: la contemplazione di un qualcosa che provoca piacere ma che allo stesso tempo è talmente potente da poterci de-costruire, destabilizzare. Quasi un atto di ribellione verso lo stallo di una perfezione costruita, appunto; legata mani e piedi in standard prestabiliti. Ma poi prestabiliti da chi?
La vita non è perfetta. Non lo è per nessuno, la vita a volte può annientare. Inutile sforzarsi di indossare sorrisi di plastica, la vita è amara e dolce per tutti. Serena e violenta, la vita è sublime. Il sublime è alta emozione. E sopratutto, evoluzione. Mai tappare la bocca all’emozione! Autenticità, coraggio, ottimismo: queste sono le armi per viverla intensamente. Solo se troviamo la forza di guardarci dentro e riflettere su noi stessi, senza aver paura di salire da soli scalinate che non sappiamo dove possono condurci, possiamo intraprendere viaggi inattesi, che magari possono insegnarci ad osservare il mondo e la vita da prospettive nuove, imparando a scorgerne la vera bellezza. Tutto parte da dentro di noi. La felicità, spesso, è una scelta. Guardare la vita sorridendo, è una scelta.
Ecco perché la vita è bella.